I never doubt that a small group of thoughtful committed people can change the world: indeed it's the only thing that ever has!
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Thursday, 3 November 2011

Acque perdure

Ridurre gli sprechi e assicurare che l'acqua utilizzata torni all'ambiente in condizioni tali da essere un problema ecologico. Il sistema idrico italiano entro tre anni deve dimostrare di essere in "salute" per non incorrere nelle sanzioni Ue. Il Paese però è molto lontano da questi obiettivi: mancano le fognature, i depuratori e il sistema in alcune regioni è in mano alla criminalità organizzata

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Sunday, 12 June 2011

Viviconstile l'acqua

Come usare meglio l'acqua in casa
Costa poco, vale tanto, e troppo spesso la diamo per scontata. Dalla doccia agli usi in cucina, dallo scarico del water all'irrigazione delle piante, senza tralasciare lavatrice e lavastoviglie, gli accorgimenti per fare un uso più attento dell'acqua di casa.
ABBIAMO 9 CONSIGLI PER TE
DIFFICOLTÀ
CONVENIENZA
1
Sostituisci le guarnizioni (oppure, se necessario, l'intero pezzo) dei rubinetti che perdono.
Costo indicativo: qualche decina di centesimo di euro.

2
Fai attenzione ai rubinetti aperti, chiudili mentre ti lavi i denti o ti fai la barba (in un minuto scendono anche 10 litri d'acqua).

3 Fai la doccia anziché il bagno: risparmierai più di 100 litri d’acqua ogni volta.
4
Se lavi i piatti a mano, evita di lasciare il rubinetto dell'acqua aperto mentre insaponi le stoviglie e riserva l'uso dell'acqua corrente al momento del risciacquo.

5 Usa lavatrice e lavastoviglie ad alta efficienza e falle partire solo quando sono a pieno carico.
6
Controlla lo scarico del WC. Il 30% dell'acqua usata in casa è per il gabinetto: se è a cassetta, vale la pena adottare il pulsante a doppio tasto (poca e tanta acqua).

7
Installa rompigetto areati all'interno del terminale svitabile dei rubinetti. Cambia il getto della doccia con erogatori “a basso flusso”. Si possono ridurre i consumi anche del 40%.
Costo indicativo: circa 1 euro ogni rubinetto, 25-40 euro ogni doccia.

8
Innaffia le piante nei vasi o nel giardino con parsimonia e sempre verso sera, usando l'acqua dei risciacqui e, se c'è bisogno di tanta acqua, installando impianti a goccia programmabili con timer.
Costo indicativo: 100-150 euro.

9
Per lavare l'auto, al posto dell'acqua corrente, usa il secchio. In alternativa, rivolgiti ad un autolavaggio assicurandoti che sia munito di impianto di trattamento e di recupero dell'acqua di scarico.

AGEVOLAZIONI E CONTRIBUTI

Sconti al consumatore sull'acquisto di riduttori di flusso possono essere praticati nell'ambito di campagne di risparmio energetico per concorrere all'acquisizione dei “Titoli d'Efficienza Energetica” (o Certificati Bianchi).
Lo spreco è dietro l'angolo

Ogni giorno in Italia si consumano circa 200 litri d'acqua potabile a testa (dai 104 di Ascoli Piceno ai 350 di Milano). Molto di più di quella che ci serve davvero. E' acqua che è stata prelevata da pompe, talvolta trattata in impianti, analizzata in laboratori sofisticati, distribuita in tutte le nostre case e che, infine, dovrà essere depurata prima di venire restituita ai fiumi o al mare. Sprecare questo bene prezioso è più facile di quel che si creda: un rubinetto che perde una goccia ogni 5 secondi, a fine anno ne ha buttati 2 mila litri! Se poi a perdere è il rubinetto dell'acqua calda, è come se avessimo sprecato anche una decina di metri cubi di metano. Ecco perché i consigli per non sprecare acqua e non sprecare energia si assomigliano così tanto.



Riduttori di flusso

In sostituzione dei normali frangigetto, si possono applicare dei riduttori di flusso (o rompigetto areati) ai rubinetti del bagno e della cucina. Si tratta di semplici e poco costosi apparecchi che miscelano aria all'acqua in uscita, consentendo di ridurre drasticamente i consumi, anche del 40%, senza diminuire la resa lavante o il comfort. Non tutti però sono uguali e alcuni permettono un risparmio molto superiore di altri: prima dell'acquisto, controllare bene l'etichetta. 



Sciacquoni a basso consumo

Lo sciacquone a doppio pulsante permette di scaricare solo 3 litri invece dei 10-12 abituali. Per chi non vuole cambiare la vecchia vaschetta del WC a pulsante unico, è possibile ridurre l'afflusso d'acqua immergendovi una bottiglia di plastica piena chiusa o una busta (vedi www.studioinvenzioni.com/sacchetto-salva-acqua.html). In alternativa, per gli impianti di scarico a cassetta alta esterna si possono acquistare oggi apparecchiature che, a fronte di una piccola spesa e senza bisogno di lavori di muratura, trasformano il nostro sciacquone convenzionale in uno a doppio scarico (vedi www.casasoleil.it).



Lavatrici e lavastoviglie

I vecchi modelli di classe energetica bassa usano anche 25-50 litri a lavaggio, oltre a consumare costosa elettricità per scaldare l'acqua in più. Considerato che l'acqua adoperata per ogni lavaggio è la stessa, vale la pena farli funzionare solo a pieno carico. 

Anche lavare i piatti a mano può non convenire: se si tiene sempre aperto il rubinetto si consuma più acqua, detersivo, energia e si inquina di più che usando la lavastoviglie. Meglio immergere le stoviglie in una bacinella d'acqua calda con poco detersivo e utilizzare l'acqua corrente solo per il risciacquo (leggi qui).



Risparmiare in giardino

Per chi ha il giardino i consumi, specie in estate quando i fiumi sono in secca, aumentano notevolmente. Innaffiare a spruzzo, con la canna o con automatismi, favorisce l'evaporazione (specie se si innaffia quando il sole è ancora alto) e non indirizza l'acqua dove è più necessaria. Meglio utilizzare impianti a goccia programmabili con timer: dotati di tubi con ugelli dosatori, sono molto comodi e consentono risparmi notevoli. 

Per le piccole innaffiature, si può sfruttare l'acqua già usata per lavare frutta e verdura o l'acqua piovana raccolta con bacinelle.



Buona edilizia

Esempi di gestione sostenibile dell'acqua si stanno recentemente diffondendo in Italia sulle nuove costruzioni, grazie anche alla spinta di leggi e di regolamenti comunali. 
Le migliori esperienze ricorrono al recupero dell'acqua piovana, particolarmente adatta all'uso negli elettrodomestici, in quanto priva di calcare, e al trattamento e riuso delle acque grigie (le acque di scarico provenienti da doccia e lavabi) per scopi non potabili, come ad esempio l'irrigazione di aree a verde, il riempimento delle cassette di risciacquo dei WC, il lavaggio di aree esterne. 

Adottando queste soluzioni in fase di costruzione o di ristrutturazione edilizia è possibile ridurre i consumi domestici di acqua potabile del 70% arrivando a consumare – a parità di comfort - circa 60 litri al giorno per abitante.

Saturday, 28 May 2011

Acqua, un bene pubblico anche con due no al referendum

Perché l’acqua deve stare fuori dal sistema dei prezzi?
All’approssimarsi della data di due tra i quesiti referendari più emotivamente caratterizzati ed altrettanto fuorvianti della recente storia italiana, una opportuna riflessione di Franco Debenedetti sul tema. Per la serie conoscere per deliberare, impresa ormai disperata in questo paese.

Come è (forse) noto, i due quesiti referendari riguardano essenzialmente la gestione della rete idrica e la tariffa dell’acqua. Nel primo caso, il comitato promotore intende abrogare l’articolo 23 bis della legge 233/2008, che “stabilisce come modalità ordinarie di gestione del servizio idrico l’affidamento a soggetti privati attraverso gara o l’affidamento a società a capitale misto pubblico-privato, all’interno delle quali il privato sia stato scelto attraverso gara e detenga almeno il 40%”. Osserva Debenedetti che il problema che abbiamo di fronte non riguarda l’assetto proprietario dell’acqua (che restrebbe pubblico), bensì i criteri per l’assegnazione delle gare di appalto per ammodernare e sviluppare le reti, ponendo tra l’altro fine all’indecente fenomeno della dispersione, stimata in media al 30 per cento ma che in alcune realtà è ben superiore. Sostituire l’appalto in house da parte dell’ente locale con una regolare procedura di messa a gara serve a contenere quei fenomeni di socialismo municipale che tanto hanno contribuito, sinora, a sottrarre efficienza al sistema economico.

Riguardo le tariffe, oggetto del secondo referendum, il “rischio” evidente è quello di un aumento vertiginoso delle stesse, per finanziare i nuovi investimenti. Per questo motivo, i proponenti del referendum intendono eliminare il comma del cosiddetto “codice dell’ambiente” che dispone che la tariffa per il servizio idrico è determinata tenendo conto dell’“adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Se vincessero i si, per tradurre, il costo degli investimenti finirebbe a carico della fiscalità generale, con effetti ulteriormente depressivi sull’economia dati dal fatto che nei prossimi anni nel settore idrico serviranno, come detto, enormi esborsi.

Sostiene Franco Debenedetti, una delle menti più lucide prodotte dalla sinistra italiana (ammesso e non concesso che la sinistra lo consideri un proprio “prodotto”):

«L’uno-due dei referendari è micidiale: col quesito numero uno vogliono che le opere pubbliche vengano pagate a piè di lista, con il quesito numero due vogliono che la gente non sappia neppure quanto questo le costa. Certamente esisteranno anche fasce di indigenza tali da non poter pagare neanche l’acqua per bere e per lavarsi – anche se in tal caso gli interventi per sopperire alle loro necessità e soprattutto per aiutarli a uscire dalla situazione di povertà dovrebbero essere ben più radicali e mirati -; ma come qualificare chi sfrutta questa indigenza per beneficiare anche chi l’acqua la usa per fontane e piscine, oppure per usi industriali? Perché costoro non debbono pagare l’acqua al prezzo giusto? I prezzi sono uno strumento per l’efficiente allocazione delle risorse, in particolare per decidere gli investimenti. Perché l’acqua deve stare fuori dal sistema dei prezzi?»

Già, perché? Eppure, sarebbe sufficiente lavorare su un welfare realmente dei bisogni, stabilendo esenzioni e sussidi a beneficio di chi è realmente in condizione di disagio economico, e porre a carico della fiscalità generale solo quella parte dell’intervento. L’obiezione più ricorrente all’eliminazione della riserva in house è che l’intervento del privato non è garanzia di efficienza, soprattutto in un paese come il nostro, dove connivenze tra appaltatori e committenti pubblici sono parte integrante del paesaggio. Ma identica obiezione può essere sollevata per l’esecuzione del servizio da parte dell’ente locale, in condizioni di splendida solitudine e di determinazione fantasiosa dei relativi costi. Insomma, serve comunque l’affermazione di una cultura del controllo da parte dei cittadini, che dovrebbe già esistere ma che auspicabilmente si rafforzerà con l’affermazione dell’idea federalista (anche se siamo destinati ad avere un federalismo “alla padana”, cioè molto italiano e gabelliere). Diversamente, i termini della questione non risiederebbero nella dicotomia tra statalisti e liberisti ma nel trasversale dualismo tra guardie e ladri, ed abbiamo non da oggi il sospetto che sia proprio questo il vero problema italiano.

Per questo dobbiamo convincerci che l’acqua è e resta un bene pubblico, anche votando due no al referendum.

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Friday, 22 April 2011

L'ambiente tradito, storie di dighe e disastri

Nel libro 'Da Molare al Vajont, storie di dighe' (edizioni Erga), Giorgio Temporelli passa in rassegna i più tragici eventi accaduti nel nostro Paese nell'ultimo secolo. "La progettazione e la gestione delle grandi opere, siano esse un palazzo, un ponte, una strada o una diga - spiega l'autore - devono sempre essere ispirate al buon senso e all'onestà intellettuale. I segnali della natura non possono essere sottovalutati: quando ciò è successo i risultati sono stati tragici.". Il libro ricostruisce le vicende processuali, analizza le tecniche costruttive e propone anche le testimonianze dei superstiti. Ecco una rassegna di foto d'epoca dei casi trattati nello studio (e.d.s.)

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Thursday, 21 April 2011

Acqua minerale, primato italiano


Nel nostro Paese record europeo di consumi di minerale: 192 litri a testa nel 2009. Nel mondo secondi soli al Messico. Ma bevendo acqua pubblica si riducono (di molto) le emissioni di gas serra

Acque salutari, pure, e cristalline. Una promessa tutta naturale, che però danneggia l'ambiente. Lo afferma uno studio che mostra come scegliendo l'acqua di casa rispetto a quella imbottigliata gli italiani risparmierebbero annualmente l'emissione di 9000 tonnellate di CO2.

Primi in Europa, secondi al mondo. Non un primato di coscienza ambientale ma quello del consumo pro capite d'acqua imbottigliata. Sono i dati che emergono da un rapporto della Beverage Marketing Corporation, secondo cui nel 2009 gli italiani hanno consumato in media 192 litri di acqua minerale a testa. Un valore che ci proietta al top della classifica dei dieci paesi più attratti dall'acqua in bottiglia. Siamo sotto solo al Messico (234 litri pro capite) e sopra agli aridissimi Emirati Arabi (151 litri).

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Thursday, 7 April 2011

Acqua!

Il Concorso Fotografico di Beneficenza “ACQUA” promosso da 42mm e SBS Sociale presenta le fotografie vincitrici del concorso, sabato ore 21,00 via del Guadagnolo, Roma

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Monday, 21 March 2011

Conferenza: water search portal

SEMINARIO
PRESENTAZIONE DELLA PIATTAFORMA SULL'ACQUA
“AQUA SEARCH PORTAL”
Roma, 22 marzo 2011, ore 10:15-13:30
Sala Conferenze IterLegis
Via Uffici del Vicario, 30
Programma provvisorio
10.15 Registrazione dei partecipanti
10.30 Introduzione:
L’acqua come sistema. Giornata Mondiale 2011 dedicata
all’acqua e alle città
Gianni De Michelis, Presidente IPALMO
10.45 Presentazione della Piattaforma
Elisabetta Zuanelli, Presidente PRAGMEMA
11.15 Le politiche e gli strumenti d’informazione sull’acqua
Corrado Clini, Direttore Generale, Ministero
dell’Ambiente
Walter Mazzitti, Presidente SEMIDE
Mario Alì, Direttore, Direzione Generale per
l’internazionalizzazione della ricerca, Miur
11.45 Dibattito
Rappresentanti di Istituzioni nazionali e internazionali,
aziende (private e pubbliche), enti consortili
12.45 Per un coordinamento delle politiche dell’acqua
Elisabetta Zuanelli, Presidente PRAGMEMA


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Tuesday, 15 March 2011

Note sul diritto fondamentale all'acqua. Proprietà del bene, gestione del servizio, ideologie della privatizzazione

Diritto all’acqua e previsioni costituzionali. – Il diritto all’acqua – il suo riproporsi come problema, per la negazione di cui soffre in forza degli stati di crisi e di conflitto armato, mai sopiti ovunque e del tutto, e per essere la sua violazione l’indicatore di perduranti diseguaglianze tra singoli o gruppi sociali e tra parti del mondo – è lo “scandalo”, la pietra d’inciampo in ogni percorso, teorico o dogmatico, rivolto a costruire ordinate tassonomie dei diritti fondamentali. Uno scandalo rimosso, sembrerebbe: la Costituzione italiana, come altre Costituzioni, non contiene alcun autonomo riferimento al diritto all’acqua; né formule normative intese a qualificare un diritto soggettivo o collettivo all’acqua si rinvengono nei testi del diritto internazionale .
Il tema del diritto all’acqua viene, dunque, quasi naturalmente attratto nel contesto del dibattito – non risolto e forse, in qualche caso, un po’ consunto – sulla lettura dell’art. 2 Cost. come norma a “fattispecie aperta” o, all’opposto, a “fattispecie chiusa”; o anche – essendo pressoché inevitabile che, nel sedimentarsi del confronto, si creino posizioni “terze” – come norma, per così dire, a “fattispecie semipermeabile” al processo storico di espansione delle garanzie dei diritti (un modo per richiamare l’opportunità di non pervenire ad eccessi, nella ricostruzione del tessuto dei diritti costituzionalmente protetti)...


more info on federalismi.it

Monday, 7 March 2011

Gli acquedotti di Roma: gli undici acquedotti

Gli undici acquedotti maggiori
A cura del Prof. Arch. Renata Bizzotto
Con la collaborazione dell'Arch. Maria Letizia Mancuso
La capacità totale dei nove più antichi acquedotti, era di circa 992.200 mq al giorno.
Se si calcola a circa un milione di persone la popolazione di Roma in età traianea ne risulterebbe una disponibilità di circa 1000 litri per abitante, che possiamo confrontare con i 475 litri per abitante disponibili in Roma nel 1968.

In totale l'acqua era fornita da undici acquedotti:

1. Acquedotto Appio
2. Acquedotto dell'Aniene vecchio
3. Acquedotto dell'acqua Marcia
4. Acquedotto dell'acqua Tiepida
5. Acquedotto Giulio
6. Acquedotto dell'acqua Vergine
7. Acquedotto Alsietino
8. Acquedotto Claudio
9. Acquedotto dell'Aniene nuovo
10. Acquedotto Traiano
11. Acquedotto Alessandrino

Percorsi degli acquedotti maggiori
Quella che segue è una lista degli acquedotti antichi maggiori, secondo il loro ordine cronologico, che mostra anche quale parte di città essi servivano. La posizione delle loro sorgenti si riferisce alla distanza e orientamento rispetto al centro della città, espressi in miglia romane.

TABELLA CON: NOME ACQUEDOTTO, RIFERIMENTO DEL NOME, ANNO DI COSTRUZIONE, POSIZIONE DELLE
SORGENTI, POSIZIONE DELLO SBOCCO PRINCIPALE

AQUA APPIA, censore Appio Claudio Cieco, 312 aC, 7-8 miglia ad est, Circo Massimo (sud ovest)
ANIO VETUS, "Aniene vecchio", 269 aC, 29 miglia ad est, Porta Esquilina (sud est)
AQUA MARCIA, pretore Quinto Marcio, 144 aC, 36 miglia ad est, colle Quirinale (nord est)
AQUA TEPULA, "acqua tiepida", dalla sua temperatura, 125 aC, 10 miglia a sud est, Porta Collina (nord est)
AQUA IULIA, dalla gens dell'imperatore Ottaviano, 33 aC, 12 miglia a sud est, Porta Viminalis (nord est)
AQUA VIRGO, "acqua vergine", da una leggenda, 19 aC, 8 miglia ad est, Campo Marzio (nord ovest)
AQUA ALSIETINA, lago Alsietinus (oggi di Martignano), 2 aC, 14 miglia a nord ovest, Trastevere (ovest)
AQUA CLAUDIA, imperatore Claudio, 52 dC, 38 miglia ad est, Porta Praenestina (sud est)
ANIO NOVUS, "Aniene nuovo", 52 dC, 38 miglia ad est condivideva lo sbocco con l'Aqua Claudia
AQUA TRAIANA, imperatore Traiano, 109 dC, 13 miglia a nord ovest, colle Gianicolo (ovest)
AQUA ALEXANDRINA, imperatore Alessandro Severo, 226 dC, 14 miglia ad est Pantheon, Campo Marzio (nord ovest)

Acquedotto Appio
Fu condotto a Roma da Appio Claudio Cieco; questo acquedotto quasi tutto sotterraneo era lungo più di 16 km.
Fu il primo acquedotto, edificato nel 312 a.C. Lungo 16 chilometri (le sorgenti si trovavano sulla via Collatina), raggiungeva, con un percorso quasi tutto sotterraneo, Porta Maggiore, e si dirigeva poi verso l'Aventino per terminare al foro Boario, a porta Trigemina (attuale Monte Savello).
Aveva una portata di acqua di 73.000 mc al giorno ed era costituito da blocchi di tufo muniti di una cavità centrale.

Acquedotto dell'«Aniene Vecchio»
Fu il secondo acquedotto di Roma, realizzato nel 272 a.C.: esso fu costruito dal censore Manio Curio Dentato.
Così chiamato per la sua provenienza dalla valle dell'Aniene, sopra Tivoli. Il suo percorso era di 63 chilometri, sotterranei fino a Porta Maggiore, per poi terminare nella zona dell'attuale stazione Termini; un ramo secondario portava acqua alle terme di Caracalla.
La sua capacità era di 175.920 mc circa al giorno. Visibile a Porta Maggiore e presso la Stazione termini sotto la chiesa di S. Vito.

Acquedotto dell'acqua Marcia
Così chiamato da Q. Marcius Rex, pretore urbano, che nel 144 a.C. realizzò quest'acquedotto la cui acqua scaturiva dalle sorgenti Rosoline presso Marano Equo al Km. 61.5 della via Tiburtina Valeria.

Acquedotto dell'acqua Tiepida
Completata nel 125 a.C. dai Censori C.N. Cepione e L.Cassio Longino, giungeva dai Colli Albani e il nome deriva dalla sua temperatura, che rimaneva sempre intorno ai 16-17 gradi, anche in inverno.
L'acquedotto scaturiva tra Marino e Castel Savelli, nella valle Preziosa, e scorreva in un condotto sotterraneo di cui non si sa nulla. Nel 33 a.C le sue acque furono miscelate con quelle dell'acquedotto della Giulia, sensibilmente più fredde. La sua capacità era di 17.800 mc al giorno.

Acquedotto Giulio
Costruito nel 33 a.C. da M. Vipsanio Agrippa, scaturiva da sorgenti a Squarciarelli, presso l'omonimo ponte, sopra a Grottaferrata.
Lacqua era ottima e leggermente frizzante. Insieme alla Tepula, a cominciare dalla zona di Capannelle l'acquedotto incontrava l'acqua Marcia (proveniente dalla valle dellAniene), sulle cui sostruzioni ed arcate si appoggiava fino a Porta Maggiore e nel successivo percorso di distribuzione in città.

Acquedotto dell'acqua Vergine
Condotto a Roma da Agrippa nel 19 a.C., le sue sorgenti sono ubicate nella tenuta della Rustica; il condotto, tutto sotterraneo è ancor oggi in uso; durante i suoi duemila anni di storia ha subito un numero enorme di restauri e modifiche. La distribuzione a Roma dell'acqua Vergine era garantita da 18 castelli di distribuzione, dei quali uno era sotto il Pincio, ed uno presso l'attuale chiesa di S. Ignazio.
La parte alta di tre arcate dell'acquedotto, distrutte da Caligola per costruire un teatro e poi restaurate da Claudio, sono parzialmente conservati e visibili in via del Nazareno (n. civico 14). Di fronte (al civico 2) una porticina, esattamente corrispondente allo specus dell'acquedotto è sormontata da uno stemma della famiglia della Rovere.
In quel punto le condutture furono deviate per la realizzazione della fontana di Trevi, che oggi alimenta, insieme a quella dei Fiumi a Piazza Navona e la Barcaccia a Piazza di Spagna. Altre derivazioni dall'acquedotto principale giungevano al Campidoglio e probabilmente anche a Trastevere.

Acquedotto alsietino
L'acqua Alsietina proveniva dai laghi Martino e giungeva a Roma attraverso il Gianicolo, dopo un percorso di 32.815 m. circa.
Aveva una portata di acqua di 15.600 mc al giorno.
Condotto a Roma sotto Augusto nel 2 d.C. in occasione dell'inaugurazione della naumachia in Trastevere.
La naumachia, un circo che veniva allagato e dove si svolgevano battaglie navali, era un'ellisse con il diametro maggiore pari a 533 metri, situato tra le attuali piazze S. Cosimato e S. Maria.
L'acqua veniva captata dal lago di Martignano (ancora è visibile il taglio nella roccia ad un'altezza superiore al livello attuale del lago). Data l'origine lacustre dell'acqua, è immaginabile che essa venisse usata unicamente per le naumachie o per l’irrigazione dei campi. Non è escluso un utilizzo come forza motrice per i mulini di Trastevere.

Acquedotto Claudio
L'acquedotto, inaugurato nel 52 d.C., sotto l'imperatore Claudio, ma iniziato da Caligola nel 38 d.C., è uno dei più monumentali di Roma; già da Frontino denominato magnificentissimus, per l'importanza e la monumentalità dell'opera.
Le sorgenti, come per l'Acqua Marcia, erano poste nella valle dellAniene, presso l'odierna Arsoli; l'acqua veniva captata al XXXVIII miglio della Via Sublacense, dalle sorgenti Cursio e Ceruleo e giungeva a Roma dopo 68.681 m di percorso, 15.060 dei quali fuori terra, con circa 16 km di arcate in tufo.
L'acquedotto arrivava a Roma alla Spes Vetus: il doppio arco monumentale, noto come Porta Maggiore, ne costituisce l'elemento più vistoso, in gran parte fiancheggiando gli altri grandi acquedotti romani (Acqua Marcia, Anio Vetus e Novus). Qui le sue acque venivano mescolate con quelle dell'Anio Novus e quindi distribuite, attraverso una fitta rete in tutta Roma.
A sud di Porta Maggiore ancora oggi possiamo ammirare una importante diramazione dell'acquedotto, voluta da Nerone, per portare l'acqua alla Domus Aurea, presso il Colosseo.

Acquedotto dell'«Aniene nuovo»
Iniziato da Caligola nel 38 d.C. e terminato, insieme all'acquedotto Claudio nel 52 d.C., prendeva l'acqua direttamente dal fiume Aniene, da cui il nome, all'altezza di Agosta, nei pressi di Subiaco.
E' senza dubbio l'opera più imponente dell'architettura idraulica romana; 87 km di cui 14 su arcuazioni, una portata di 200.000 metri cubi al giorno ed il maggior livello rispetto al suolo all'arrivo a Porta Maggiore che permetteva la distribuzione dell'acqua anche alle zone più alte della città.

Acquedotto Traiano
Edificato da Traiano nel 109 d.C. allo scopo di portare acqua a Trastevere, convoglia a Roma le acque che scaturiscono lungo le pendici del lago Sabatino Bracciano); da qui l'acquedotto giungeva al Gianicolo, dopo un percorso 32.500 metri, in cui seguiva Un castello di distribuzione dell'acquedotto, che entrava a Roma dal Gianicolo, è stato rinvenuto nel 1850, nella villa Lais, presso porta S. Pancrazio; sui tubi erano annotati i nomi degli utenti, tra cui l'imperatore Traiano stesso.

Acquedotto Alessandrino
Edificato da Settimio Severo nel 226 d.C.; le sorgenti erano ubicate presso una località a 3 km. a nord del paese di Colonna (nella tenuta di Pantano Borghese) e giunge a Roma su tipiche arcuazioni rivestite in laterizio, che seguono la via Prenestina, la via Labicana e si concludono a Porta Maggiore.
La sua acqua fu utillizzata fra l'altro per le terme Alessandrine, rifacimento di quelle di Nerone in campo Marzio.

Sunday, 6 March 2011

Gli acquedotti di Roma: come funzionanao

A cura del Prof. Arch. Renata Bizzotto
Con la collaborazione dell'Arch. Maria Letizia Mancuso
Gli acquedotti raccoglievano l'acqua da diverse sorgenti naturali situate a notevole distanza dalla città (la più lontana era quella dell'Anio Novus, 59 miglia o 87 km ad est di Roma).

L'"acqua" veniva scelta in conseguenza di molti fattori: la sua purezza, il suo sapore, la sua temperatura, le sue supposte proprietà medicamentose, attribuite ai sali minerali contenuti, e la posizione delle sue sorgenti, che dovevano essere visibilmente pure e limpide, inaccessibili all’inquinamento e prive di muschio e di canne. Si dovevano esaminare le condizioni generali delle bestie che ne consumavano. Se la fonte era nuova, i campioni dovevano essere analizzati in contenitori di bronzo di buona qualità per accertare la capacità di corrosione, l’effervescenza, la viscosità, i corpi estranei e il punto di ebollizione.

L'acqua si muoveva in direzione della città grazie a nessun'altra forza se non quella di gravità, cioè l'acquedotto agiva da continuo scivolo per tutta la distanza che separava le sorgenti dal punto del suo sbocco. Per ottenere tale risultato ciascuno di essi veniva progettato in modo tale che ogni singola parte del lungo tracciato corresse leggermente più in basso di quello precedente, e leggermente più in alto di quello successivo, in modo da ottenere una pendenza media calcolata attorno al 2%. Per tale ragione l'acqua doveva essere presa da sorgenti situate in collina, più in alto rispetto alla posizione di Roma, in particolare nei dintorni ad est della città, ed ogni punto del lungo percorso doveva essere attentamente pianificato, a seconda delle caratteristiche del terreno che incontrava.

Gli architetti romani erano abili in questa attività, per la quale disponevano di arnesi sofisticati: a parte la comune livella ad acqua (libra), simile a quella usata oggi dai falegnami, utilizzavano strumenti come il chorobates, e il dioptra. Prima di essere incanalata, l'acqua passava attraverso una o più vasche dette piscinae limariae, dove la velocità di flusso rallentava, consentendo al fango e alle altre particelle di depositarsi. Simili vasche si trovavano anche lungo il corso di molti acquedotti, per rimuovere qualsiasi impurità.

Lontano dall'area urbana gran parte del percorso degli acquedotti era sotterraneo: scavando pozzi verticali veniva raggiunta l'altezza richiesta per mantenere un percorso in discesa, e quindi il canale, o specus, veniva scavato attraverso la roccia.


Lo specus
Per via delle caratteristiche del terreno, alcune parti del dotto dovevano correre in superficie, lungo un fosso le cui pareti erano rinforzate con una palizzata. Lungo il percorso esterno dell'acquedotto ogni 240 piedi (71,28 m) una grossa pietra, detta cippo, segnalava la presenza del canale sotterraneo, e per evitare danni e inquinamento doveva essere rispettata una distanza di sicurezza di 15 piedi (1 piede romano = 29,7 cm) per ogni lato della struttura fuori città e di 5 piedi nel caso si trattasse di struttura sotterranea o di struttura all’interno della città.


Diagramma del cippo

Infatti tutti gli acquedotti erano pubblici, di proprietà del governo a beneficio dei cittadini, nonostante lo ius non prevedeva l’esproprio (si pensa che il forzato suicidio di Torquato nel 64 d.C. ed il sequestro delle sue tenute sia da addebitare alla costruzione degli Arcus Neroniani). Il loro danneggiamento o inquinamento veniva severamente punito, così come anche usare l'acqua per ville o terreni privati collegandosi illegalmente alle condutture pubbliche.

Rami privati in effetti esistevano, ma potevano utilizzare solo il surplus dell'acqua disponibile, e per fare ciò si pagava un tributo.

Quando il dotto raggiungeva una parete scoscesa o una gola, una possibile soluzione era di costruire un ponte, o viadotto, per attraversare il salto e raggiungere il lato opposto ad un'altezza leggermente inferiore: qui il percorso del canale ritornava sotterraneo.

Un'altro modo di superare tali formazioni naturali era di attraversarle con il "sifone invertito", una tecnica basata su un semplice principio fisico.

Dove il terreno si faceva piano, in vicinanza della città, il flusso veniva reso possibile costruendo le famose serie di arcate, alcune delle quali raggiungevano quasi 30 m di altezza.

Attraversavano la campagna per delle miglia, mantenendo il livello dell'acqua sufficientemente alto da poter raggiungere l'area urbana. Infatti era lungo queste grandiose strutture che la maggior parte degli acquedotti entrava a Roma. Più l'acqua viaggiava alta, più grande era il numero di quartieri che avrebbe potuto raggiungere.

Nella parte sommitale di questi viadotti, dove scorreva il canale, si trovavano delle aperture che consentivano la stessa opera di manutenzione richiesta dai dotti sotterranei.


Le tre "acque" - Condotti multipli sopra Porta Tiburtina e Porta Maggiore
Dovendo sfruttare quanto più possibile l'altezza naturale del territorio attraversato, diversi acquedotti arrivavano a Roma seguendo un percorso quasi identico; quindi due o persino tre "acque" potevano condividere lo stesso viadotto, scorrendo in canali separati a livelli differenti, secondo la rispettiva altezza che ciascuna di esse aveva sin lì raggiunto.

I principali sbocchi cittadini erano situati nei punti urbani più elevati. In particolare, molti acquedotti raggiungevano i confini di Roma da sud-est, in un sito chiamato Spes Vetus ("speranza vecchia") da un antico Tempio della Speranza che una volta vi sorgeva. L'acqua quindi entrava in città dal vicino colle Esquilino, da dove poteva essere distribuita a gran parte degli altri quartieri.

In alcuni casi acquedotti più "ricchi" ne aiutavano altri a mantenere un volume d'acqua sufficiente al rifornimento delle rispettive aree: per esempio, l'Aqua Claudia versava circa 1/8 della sua portata nelle A.Iulia e A.Tepula.

Non tutti gli acquedotti entravano a Roma passando su un viadotto: quello più antico, l'Aqua Appia, correva quasi completamente in sotterranea, così come pure quelli provenienti da nord-ovest, Aqua Alsietina e Aqua Traiana, che rifornivano l'VIII regio, Trans Tiberim (cioè Trastevere) dalla cima del colle Gianicolo.

In tali casi, entro l'area urbana venivano usati i lapides perterebrati: mattoni cavi speciali che si incastravano l'uno nell'altro formando un condotto impermeabile.

Il principale sbocco di un acquedotto aveva l'aspetto del castellum ("castello"), una struttura di dimensioni variabili che conteneva una o più vasche simili alle piscinae limariae, dove il flusso idrico rallentava e le ultime impurità sedimentavano. L'acqua veniva quindi versata all'esterno da un certo numero di bocchettoni a forma di calice.

Saturday, 5 March 2011

Gli acquedotti di Roma: costruzione

A cura del Prof. Arch. Renata Bizzotto
Con la collaborazione dell'Arch. Maria Letizia Mancuso
L'acqua, per una città, è stata da sempre una delle risorse più importanti, e l'antica Roma era famosa per la sua grande disponibilità di fontane pubbliche, terme, bacini artificiali e serbatoi, stadi per battaglie navali (naumachiae), canali d'irrigazione, ed altre strutture simili.

In un arco di tempo di oltre 500 anni furono realizzati per il fabbisogno urbano di Roma undici acquedotti maggiori, oltre ad un considerevole numero di diramazioni. É stato calcolato che la portata complessiva di tali acquedotti, messi insieme, superava di parecchio la quantità giornaliera di acqua su cui oggi può contare la città moderna.

Tale abbondanza, che non fu mai raggiunta in nessun'altra parte del mondo, valse a Roma il nome di regina aquarum, cioè regina delle acque. É interessante notare che i Romani non davano un nome all'acquedotto in sé, ma all'acqua che portava, per cui la gran parte di essi veniva chiamata aqua (Aqua Appia, Aqua Marcia, Aqua Iulia, ecc.), seguito spesso dal nome del regnante o del funzionario che li avevano fatti realizzare o avevano presieduto alla loro costruzione.

Sin dai tempi in cui Roma fu fondata, gli abitanti poterono utilizzare l'acqua del Tevere, che scorreva lungo il confine urbano occidentale (oggi taglia la città moderna in due metà), e del suo principale affluente, l'Aniene, che incontra il fiume maggiore circa 4 km a nord delle più antiche mura cittadine, in una località ora circondata da nuovi quartieri.

Durante l'età dei re, e per un certo periodo dell'età repubblicana, la popolazione fece fronte alle proprie necessità raccogliendo l'acqua direttamente da questi fiumi, da canali, e da un certo numero di fonti minori quali pozzi e cisterne d'acqua piovana.
Nel IV secolo a.C. le dimensioni della città e la crescita della popolazione, compresi i molti immigranti, i mercanti stranieri e gli schiavi, richiesero una disponibilità maggiore.

Infatti nell'anno 312 il censore Appio Claudio fece costruire il primo acquedotto che raccoglieva l'acqua da sorgenti localizzate fra le 7 e le 8 miglia ad est della città, sebbene la lunghezza complessiva del suo percorso misurasse non meno di 11 miglia.
La realizzazione degli acquedotti seguì ad una media di uno ogni 60 anni circa, ma nel 52 d.C. due di essi vennero costruiti quasi allo stesso tempo.
La lunghezza degli acquedotti veniva espressa in passus ("passi"), una misura corrispondente a 1,482 m.

In modo più approssimato, erano misurati in milia passus, cioè miglia romane, il cui effettivo significato era "migliaia di passi", pari a 1,482 km.
La portata di ciascun acquedotto era calcolata in quinariae. Gli studiosi hanno calcolato 1 quinaria equivaleva a 0,48 litri al secondo.

Il più potente degli undici acquedotti, l'Anio Novus, portava 4.738 quinariae, il che significava una provvigione di quasi 200 milioni di litri al giorno!
La rete idrica di Roma era sotto il controllo di un alto ufficiale il cui titolo era curator aquae, cioè "curatore delle acque".

É grazie ad uno di questi curatori, Sesto Giulio Frontino (tardo I secolo dC), il quale scrisse un minuzioso saggio su questo argomento, che oggi si conoscono gran parte dei dati relativi all'amministrazione, le caratteristiche e il percorso degli acquedotti romani.
Diverse piante di Roma rinascimentali e barocche, invece, mostrano vedute a volo d'uccello tridimensionali delle molte parti degli acquedotti ancora esistenti fra il XV e il XVII secolo.

Grazie a queste fonti e agli scavi archeologici è stato possibile disegnare il percorso di molti acquedotti romani antichi, sebbene a causa dello sviluppo della città nel corso dei secoli assai poco di queste maestose strutture è rimasto in piedi.